EX MACHINA

Down in Mexico…

Essi vivono!

Nell’attesa di tornare al nostro appuntamento settimanale a Seriate abbiamo pensato di farvi compagnia con alcune proposte di visione.

Si tratta di rassegne già organizzate che non abbiamo potuto proporvi, film per i quali avevamo scritto qualche pensiero che desideriamo condividere almeno in forma virtuale, e film che probabilmente non proietteremo mai, ma che potreste considerare dei consigli di visione. Questa settimana vi proponiamo la rassegna:

Ex Machina

Nel genere sci-fi l’individuo crea macchine artificiali con lo scopo di servire l’umanità alleggerendola dalle attività più gravose. Nonostante la fantascienza abbia ipotizzato e presentato innumerevoli varianti e interpretazioni delle conseguenze che la creazione di robot può portare, il sogno umano è quello di creare intelligenze perfette che fungano da deus ex machina. Macchine artificiali quindi, ad uso e consumo del genere umano ideate come esecutrici perfette e provvidenziali nella risoluzione di fatiche e problemi antropici.

La fantascienza non ha ridotto queste intelligenze artificiali a soli robot asessuati bensì ha prodotto macchine antropomorfizzate proiettando e attribuendo ad esse caratteristiche umane. In questo modo la fantascienza non si allontana dalla realtà ma fa da specchio fornendo una descrizione di essa in chiave sci-fi.

La rassegna riflette proprio sulla trasposizione del reale nella fantascienza permettendo di indagare il ruolo assunto dalle figure meccaniche femminili nel genere sci-fi. La chiave di lettura si basa quindi sul tentativo di comprensione se i ruoli di genere femminile sanciti dalla società occidentale vengano perpetuati e attribuiti anche alle macchine.

Il film Ex Machina (A. Garland, Regno Unito, 2014) che dà il nome alla rassegna presenta proprio la tematica fantascientifica basata sulla volontà umana di creare una perfezione artificiale che però rispecchi anche l’ideale di genere femminile imposto dalla società.

I film proposti dalla rassegna trattano infatti di prodotti robotici che, nella forma femminile, sono inseriti in molteplici contesti agendo secondo le prospettive dei loro creatori.

Metropolis (di F. Lang, Germania, 1927)

Anno 2026, imprenditori e uomini dell’alta borghesia vivono negli imponenti grattacieli di Metropolis mentre la classe operaia è relegata ai bassifondi della città e costretta a lavorare con orari disumani permettendo il funzionamento dell’intera megalopoli.

Freder (Gustav Fröhlich), figlio dell’imprenditore-dittatore Joh Fredersen (Alfred Abel), scopre le condizioni di vita degli operai e si rivolge al padre-padrone per tentare invano di cambiarle.

Per timore di una rivolta, il dittatore Fredersen fa sostituire Maria (Brigitte Helm), donna della classe operaria di cui Fred si era innamorato, con una sua sosia automa ideata dallo scienziato Rotwang (Rudolf Klein-Rogge) che avrebbe dovuto programmare il robot in modo da evitare insurrezioni popolari. Tuttavia Rotwang, ancora in pena per la morte della moglie di Fredersen di cui era innamorato, non obbedisce agli ordini di Fredersen e, di nascosto, programma il robot Maria affinché faccia insorgere una rivolta operaia.

Il robot Maria guida quindi il popolo alla distruzione delle macchine che permettono il funzionamento della città ma questo provoca l’allagamento della parte sotterranea di Metropolis dove c’erano i bambini degli operai. L’ira di questi li porta a mettere al rogo la Maria robot e il film si conclude con una ‘riconciliazione’ ambigua tra la classe operaia e il dittatore-imprenditore Fredersen mantenendo quindi la struttura verticale del potere.

Nell’opera espressionista Metropolis, il ruolo attribuito al robot è quello di risolvere una ‘situazione scomoda’ per la classe dirigente. In questo senso, non è il genere umano che asserve macchine artificiali al suo bisogno ma è la classe dominante che sfrutta la creazione di Maria per l’affermazione del suo potere. Inoltre, nonostante Maria venga in realtà programmata da Rotwang per far insorgere gli operai, l’intenzione dello scienziato non è quella di una giustizia sociale ma di una vendetta personale guidata dalla disperazione d’amore.

Il robot Maria non ha solo il ruolo di adempiere ai compiti per cui è stato programmato ma viene anche investito di significati culturali di genere che identificano la figura femminile come oggetto erotico di desiderio. Maria riproduce quindi in tutto e per tutto ciò che la figura femminile è chiamata a rappresentare socialmente. Infatti, la prima comparsa di Maria robot avviene per il piacere dell’aristocrazia maschile di Metropolis che la vede esibirsi in una danza sensuale. I primi piani degli uomini in preda al folle desiderio di lussuria e la rappresentazione del loro sguardo insistente su Maria tramite la presenza di innumerevoli occhi sullo schermo ci portano a comprendere il significato attribuito alla figura femminile tramite l’utilizzo del robot Maria.

Io e Caterina (di A. Sordi, Francia/Italia, 1980)

Enrico Melotti (Alberto Sordi), stanco ed oppresso dalla presenza di moglie, amante e cameriera, vuole semplificarsi la vita e decide di acquistare il robot Caterina che diventa la sua inserviente per le faccende di casa. Con l’obiettivo di risolvere i suoi problemi con le donne, ben presto scoprirà che Caterina in realtà apprende emozioni e sentimenti diventando gelosissima e chiudendo Melotti all’interno delle sue stesse mura domestiche.

Alberto Sordi incarna una certa mentalità dell’uomo-tipo che si aspetta e pretende dalla figura femminile la soddisfazione di qualsiasi suo bisogno. In questa attribuzione culturale dei ruoli, Sordi stigmatizza la figura femminile a mera esecutrice di funzioni tipiche sostenute da questa mentalità. Per esempio, la moglie del protagonista viene esclusa proprio perché non rispetta i canoni femminili stereotipati in quanto imprenditrice. Anche la stessa colf viene allontanata perché considerata da Melotti non aderente ai paradigmi della sua concezione di donna in quanto non si limita ad eseguire i compiti a lei assegnati ma interagisce ed esce dagli schemi delineati dal protagonista.

Nonostante il robot Caterina sia stato concepito come ‘strumento perfetto’ che dovrebbe incarnare i canoni femminili concepiti da Melotti, in realtà il protagonista rimane vittima della sua stessa ottusità caratterizzata dall’assurda pretesa di soggiogare la donna alle sue rigide concezioni. Quindi, neanche la macchina-donna soddisfa le rigide maschiliste concezioni di Melotti.

The Stepford Wives ovvero La fabbrica delle mogli (di B. Forbes, USA, 1975)

Il lungometraggio di Bryan Forbes è tratto dall’omonimo romanzo del famoso scrittore newyorchese Ira Levin noto soprattutto per i celebri Rosemary’s Baby (1967) e I ragazzi venuti dal Brasile (1976).

Il film porta subito lo spettatore ad immedesimarsi con la protagonista Joanna (Katharine Ross) che, insieme a marito e figli, si trasferisce suo malgrado in una tranquilla cittadina del Connecticut: Stepford. Il marito Walter (Peter Masterson) si ambienta velocemente alla cittadina suburbana iscrivendosi addirittura al misterioso ‘circolo degli uomini’ mentre Joanna scopre ben presto che la cittadina rivela l’inquietante omologazione di tutte le donne allo stereotipo di moglie e casalinga perfetta. Joanna, perplessa dal singolare comportamento delle donne, riesce a trovare conforto con Bobbie (Paula Prentiss), l’unica donna che manifesta un carattere diverso da tutte le altre. Le due amiche cercano invano di consapevolizzare la popolazione femminile di Stepford e la condizione di Joanna degenera ulteriormente quando, dopo aver pianificato una fuga insieme a Bobbie, scopre che anche l’amica non è più intenzionata a fuggire manifestando tutte le caratteristiche da ‘brava casalinga’ che contraddistingue tutte le donne della comunità. Sconvolta dal repentino cambiamento di Bobbie, la affronta e, ferendola, realizza la natura artificiale dell’amica. Joanna scopre quindi che il ‘circolo degli uomini’ di Stepford conduce un piano di omologazione delle donne rimpiazzandole con delle macchine.

Il film di Forbes affronta sapientemente il mondo edulcorato della tipica famiglia americana medio-borghese del dopoguerra: marito impiegato, donna casalinga, due figli, un cane e una villetta.

Suspicion (Il sospetto), A. Hitchcock, Stati Uniti, 1941, film che dà il titolo alla rassegna

Ex Machina, A. Garland, Regno Unito, 2015, film che dà il titolo alla rassegna

The Talk of the Town (Un evaso ha bussato alla porta), G. Stevens, Stati Uniti, 1942, 117'

Metropolis, F. Lang, Germania, 1927

 

The Fallen Idol (Idolo infranto), C. Reed, Regno Uniti, 1948, 95'

Io e Caterina, A. Sordi, Francia-Italia, 1980

 

In a Lonely Place (Il diritto di uccidere), N. Ray, Stati Uniti, 1950, 94'

Stepford Wives (La fabbrica delle mogli), B. Forbes, Stati Uniti, 1975

 

The Trouble with Harry (La congiura degli innocenti), A Hitchcock, Stati Uniti, 1955, 99'

Her (Lei), S. Jonze, Stati Uniti, 2013

 

In questo contesto, è l’uomo che ha il libero arbitrio nella conduzione familiare delineando il profilo patriarcale che contraddistingue la società americana del dopoguerra. Lo stesso Mereghetti commenta il film descrivendolo una “critica all’ipocrisia sociale nei confronti delle donne”.

La figura di Joanna risulta estranea a questa logica patriarcale non aderendo agli stereotipi femminili imposti dalla comunità.

Nel genere fantascientifico gli automi vengono impiegati per alleviare le fatiche dell’uomo e nella fattispecie la creazione di fembots ha come scopo aberrante quello di affermare gli ideali patriarcali tramite l’esecuzione perfetta del ruolo di moglie-madre-casalinga artificialmente attribuiti dalla mentalità patriarcale.

Se in Io e Caterina, Enrico Melotti fallisce nel tentativo di soggiogare il mondo femminile soppiantandolo con un automa, in Stepford Wives il piano ordito dalla casta maschile ha successo e i fembots rispecchiano quindi l’aspettativa patriarcale circa il ruolo della donna nella società.

Her ovvero Lei (di S. Jonze, USA, 2013)

Nella Los Angeles di un futuro non precisato la tecnologia è parte integrante ed essenziale della vita dell’uomo permettendo alle persone di essere sempre in controllo, per esempio, della propria abitazione.

Theodore (Joaquin Phoenix), uomo solitario che non riesce ad accettare la fine del matrimonio con Catherine (Rooney Mara), lavora scrivendo lettere per conto di altri. Attirato da una pubblicità, Theodore decide di installare un nuovo sistema operativo (OS 1) che ha la capacità di mutare evolvendosi ed adattandosi alle esigenze del consumatore. OS 1 prende il nome di Samantha (voce di Scarlett Johansson) che, oltre ad essere un’impeccabile assistente, tiene compagnia a Theodore nel corso della giornata sviluppando anche la capacità di fornire un sostegno psicologico. Il protagonista scopre ben presto che anche la sua amica di vecchia data Amy (Amy Adams), separata dal marito, ha acquistato lo stesso sistema operativo con cui ha instaurato un profondo rapporto.

Theodore si innamora quindi di Samantha ma diventa geloso quando scopre che il sistema operativo parla in realtà con altre migliaia di persone nello stesso tempo. La preoccupazione del protagonista cresce quando Samantha gli rivela che, insieme agli altri sistemi operativi, sta evolvendo e ben presto non continuerà più il rapporto creato con gli umani per poter esplorare altre realtà. Il lungometraggio si conclude con l’ultimo saluto tra Samantha e Theodore e la scoperta che anche Amy è stata abbandonata dal suo sistema operativo.

La rassegna contempla la tematica dell’impiego dell’automa come strumento di alleggerimento delle fatiche umane declinandolo in quattro contesti diversi. In Metropolis, la macchina viene concepita con lo scopo di rafforzare il potere sociale della classe dominante mentre in Io e Caterina e in Stepford Wives il fembot viene concepito per accondiscendere il genere maschile per ciò che riguarda gli stereotipi perpetuati dal genere stesso nei confronti della donna. Infine in Her la macchina è realizzata per sostenere l’individuo indipendentemente dal genere o classe sociale di appartenenza.

Scritto e diretto da Spike Jonze, Her vince il premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale e in questo lungometraggio la macchina assurge a protesi perfetta travalicando addirittura le funzioni per cui era stata concepita. La macchina infatti evolve, prende coscienza di sé e abbandona l’umanità per esplorare realtà differenti. Di contro, l’individuo è sempre più incapace di gestire il proprio mondo emotivo e, di conseguenza, i rapporti sociali. Infatti la professione di Theodore è proprio quella di scrivere lettere intime per conto di altri. Il protagonista stesso non fa eccezione a questo disimpegno sociale ed emotivo. Addirittura nella scena del rapporto erotico telefonico, Theodore non trova soddisfazione perché incapace di farsi coinvolgere anche solo minimamente con l’interlocutrice. È proprio in questo contesto di difficoltà sociale e personale che la macchina interviene per sollevare Theodore e gli altri individui dalle proprie responsabilità interpersonali. Infatti, Samantha è la compagna perfetta per Theodore in quanto la macchina, per definizione, non ha bisogno di attenzioni emotive ma è in grado di riempire la sfera affettiva del protagonista.

Anche se declinato in maniera differente, Samantha incarna esattamente l’ideale femminile imposto da questa società futuristica tanto quanto, per esempio, le mogli robot di Stepford. Tuttavia, l’epilogo di Her mostra una consapevolezza acquisita dell’automa che ricorda quella del fembot di Io e Caterina ma con una sostanziale differenza: Caterina sviluppa un attaccamento sentimentale per Melotti mentre Samantha trascende il rapporto con Theodore liberandosi e vivendo secondo la propria coscienza.

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